È una membrana sottile composta da due foglietti che in condizioni normali risultano intimamente connessi tra loro: la retina neurosensoriale, responsabile delle funzioni visive e l’epitelio pigmentato retinico (EPR) responsabile del metabolismo della neuroretina cui aderisce. I due foglietti risultano a loro volta costituiti da dieci strati ciascuno con funzioni specializzate. Nei primi strati si trovano le cellule sensibili alla luce, i fotorecettori, cellule altamente specializzate in grado di captare uno stimolo nervoso e convertirlo in un impulso elettrico che sarà poi trasmesso agli strati successivi. La distribuzione dei fotorecettori non è uniforme: massima concentrazione si osserva nella parte centrale della retina, detta macula; man mano ci si sposta verso la periferia della retina la densità dei fotorecettori diminuisce e questi sono più distanziati tra loro. La macula rappresenta pertanto un sito privilegiato per la visione. Ad ogni modo per funzionare e per nutrirsi la retina necessita di essere aderente in tutti i punti all’epitelio pigmentato
Il vitreo (detto anche corpo vitreo, o gel vitreale) è un tessuto trasparente, gelatinoso, che occupa l’interno dell’occhio, costituendone i 2/3 dell’intero volume prendendo contatto con la retina a cui risulta aderente. Esso è composto per il 99% da acqua e per l’1% da fibrille di collagene e ialuronato ed è racchiuso in una membrana anch’essa trasparente chiamata “Ialoide”. Paragonando il vitreo ad una spugna bagnata, la componente fibrosa sarebbe la spugna vera e propria nei cui spazi interni si trova intrappolata la parte acquosa. Il risultato è una gelatina compatta e perfettamente trasparente.
Il vitreo, sebbene trasparente, presenta comunemente alterazioni fisiologiche collegate all’età ed impurità che i pazienti notano e riferiscono come “corpi mobili”. Tali fenomeni aumentano con l’età e con la comparsa di processi di degenerazione vitreale noti con il termine di “sinchisi” e “sineresi” vitreale; questi processi si riferiscono alla fluidificazione ed alla formazione delle lacune che incrementano la visione di ombre o delle cosiddette “mosche volanti” che vengono identificate con il termine “miodesopsie”
Questi fenomeni di degenerazione contribuiscono a ridurre il volume del corpo vitreo e a stimolare la contrazione delle fibre collagene che portano alla perdita delle sue normali aderenze con la retina, scollando le sue parti posteriori. Tale processo è noto come “distacco posteriore di vitreo”, e rappresenta una condizione talmente diffusa (presente nel 50-70% oltre i 65 anni e nelle miopie elevate) da essere considerata quasi “fisiologica”. In molti casi il paziente si accorge dell’avvenuto distacco per la comparsa improvvisa di alterazioni della vista (tremolii o annebbiamento) e per la presenza, nel campo visivo, di un corpo mobile di dimensioni più o meno ampie. Essendo un fenomeno comune è nella maggior parte dei casi, privo di conseguenze; tuttavia, in qualche circostanza, le trazioni vitreo-retiniche che hanno indotto il distacco possono esercitare trazioni analoghe nella periferia retinica o in aree più deboli provocandone la rottura. Per tali ragioni, le miodesopsie possono associarsi alla percezione di fosfeni (lampi di luce, anche al buio ad occhi chiusi), che sono il sintomo di una trazione retinica in atto. Il distacco di vitreo può complicarsi con emorragie e rotture della retina (nel 10-15% dei casi) potenzialmente in grado di provocare il distacco della retina.
Per tale motivo tutti i pazienti che notano la comparsa improvvisa di corpi mobili e soprattutto di fosfeni dovrebbe sottoporsi ad esame del fundus oculare per escludere la presenza di rotture retiniche e complicanze.
Non esiste una terapia medica causale per il trattamento dei corpi mobili e del distacco posteriore del vitreo, né tantomeno una profilassi; infatti, la terapia idrica o a base di integratori e anti-ossidanti non ha mai dimostrato una efficacia significativa nel ripristino della fisiologica composizione del gel. In molti casi i pazienti riferiscono un miglioramento della sintomatologia a distanza di qualche mese dalla comparsa, dovuto a fenomeni di adattamento da parte del cervello e alla possibilità che l’addensamento vitreale si sia spostato liberando l’asse visivo.
Il Pucker maculare è una patologia che si sviluppa nella zona centrale al confine (interfaccia) tra il corpo vitreo e la macula. Dal punto di vista fisiopatologico si caratterizza per la presenza di una sottile membrana che si sviluppa a livello maculare provocando la progressiva distorsione degli strati retinici più interni.
Identificata con diversi nomi (membrana pre-retinica, pucker maculare, sindrome dell’interfaccia vitreoretinica, maculopatia a cellophane), è provocata dalla proliferazione di alcuni tipi di cellule retiniche che causano l’ispessimento e la successiva contrazione della membrana limitante interna (il più interno degli strati retinici) e degli strati retinici sottostanti. Tale processo può portare alla progressiva deformazione della neuroretina con insorgenza di edema intraretinico.
Nella maggior parte dei casi insorgono senza associazione con altre malattie, nel qual caso vengono chiamate membrane idiopatiche. Possono comunque essere secondarie ad altre problematiche oculari, le rotture retiniche, il distacco retinico, le malattie oculari infiammatorie e vascolari e le emorragie vitreali.
I sintomi sono rappresentati da una progressiva distorsione delle immagini (metamorfopsia) con la comparsa di una macchia grigia centrale (scotoma). L’alterazione del visus è comunque molto variabile, così come la sua progressione. La distorsione delle immagini è il sintomo più comune e per la sua diagnosi è spesso impiegato il test di Amsler, utile anche per la valutazione casalinga della progressione della patologia.
L’esame del fondo oculare è in genere sufficiente per porre la diagnosi;
la tomografia a coerenza ottica (OCT) è ad ogni modo l’esame d’elezione in questa patologia, consentendo sia la conferma diagnostica, sia la possibilità di monitorare l’evoluzione e gli eventuali risultati della chirurgia maculare (Figure 1 e 2).
Nella maggior parte dei pazienti non è necessario alcun trattamento, poiché di solito la distorsione e la diminuzione visiva sono minime e tollerabili. In alcuni casi tuttavia, i sintomi possono essere importanti e invalidanti, con problemi alla lettura o alla guida. In questi casi la terapia è chirurgica, mediante intervento di asportazione del corpo vitreo (vitrectomia) e rimozione meccanica (peeling) della membrana.
Il foro maculare è una soluzione di continuo della retina a livello dell’area centrale della macula: la fovea. Dal punto di vista fisiopatologico si ritiene che la contrazione tangenziale causata dal raggrinzamento del vitreo adeso alla fovea, promuova la separazione della retina sensoriale dal sottostante epitelio pigmentato retinico; la sofferenza del trofismo neuroretinico che ne consegue conduce all’atrofia progressiva della retina foveale. L’evoluzione di tale patologia è graduale, passando attraverso una serie di stadi evolutivi (da 1 a 4, secondo la classificazione attualmente in uso elaborate da Gass) in cui si passa dallo stadio I, “foro maculare incipiente”, allo stadio IV di “foro maculare a spessore completo” con totale separazione del vitreo posteriore; l’evoluzione è comunque estremamente variabile, come anche dimostrato dalla regressione spontanea dei fori maculari stadio I in circa la metà dei casi.
Nella maggior parte dei casi il foro maculare è idiopatico (per cui non è possibile riconoscere un’etiologia definita), anche se esistono numerose condizioni fisiopatologiche che favoriscono la sua insorgenza, come alcune vasculopatie sistemiche, la miopia elevata, l’edema maculare cistoide, etc. La sua incidenza è prevalente nell’età senile, anche se si possono avere casi in età più giovane.
L’insorgenza del foro maculare, nelle prime fasi, è solitamente asintomatica; infatti, negli stadi iniziali l’interruzione della neuroretina può essere limitata agli strati più interni, configurando il cosiddetto “foro a parziale spessore o “lamellare”. Nelle fasi avanzate, invece, la neuroretina è coinvolta dal processo degenerativo per tutto il suo spessore e compaiono sintomi quali annebbiamento visivo (a volte un calo visivo improvviso), distorsioni delle immagini (metamorfopsie) e zone scure o grigie del campo visivo (scotomi).
L’esame del fondo oculare spesso è sufficiente per porre diagnosi di foro maculare, anche se la tomografia a coerenza ottica (OCT) rappresenta l’esame “gold standard” per la diagnosi ed il follow-up (Figura 1), permettendoci sia una facile stadiazione della patologia, sia il suo controllo nel tempo, sia la valutazione degli eventuali risultati chirurgici.
Diverse sono le opzioni terapeutiche, a seconda dello stadio, della sintomatologia, dell’acuità visiva e della prognosi. Nella maggior parte dei casi i pazienti sono controllati attraverso visite periodiche e non sono attuate ulteriori terapie. La soluzione chirurgica è invece indicata in caso di progressione dello stadio del foro e/o riduzione dell’acuità visiva del paziente. La chirurgia è rappresentata dalla rimozione del corpo vitreo (vitrectomia) con risoluzione il più possibile completa delle aderenze vitreali posteriori, peeling della membrana limitante interna, associate al tamponamento con gas nella porzione posteriore dell’occhio (camera vitrea).
Il distacco di retina (DR) consiste nella separazione della retina nei due “foglietti” che la costituiscono: la retina neurosensoriale, la porzione più interna, responsabile della funzione visiva e dall’epitelio pigmentato retinico, la porzione più esterna, responsabile del metabolismo e del supporto della retina neurosensoriale con cui è normalmente a stretto contatto. Nel momento in cui si verifica una separazione tra le due componenti retiniche si assiste ad un’interruzione delle funzioni metaboliche della retina neurosensoriale cui consegue una improvvisa perdita della funzionalità visiva (Figura 1). Se la retina neurosensoriale resta distaccata per molto tempo (i primi danni irreparabili si realizzano già a partire da 48 ore dopo l’insorgenza del distacco) si assiste ad un processo di morte cellulare (apoptosi) a carico dei fotorecettori per cui il recupero visivo risulta estremamente limitato.
Il DR può essere di 3 tipi: regmatogeno, dovuto ad una rottura retinica che permette al vitreo di passare posteriormente insinuandosi sotto la retina neurosensoriale e permettendo così la separazione progressiva della neuroretina dall‘EPR; trazionale, spesso secondario a retinopatia diabetica proliferante è generato da briglie di tessuto fibro-vascolare che esercitano una trazione centrifuga sulla retina provocandone quindi la separazione dei due foglietti; essudativo solitamente dovuto ad essudazione di liquido che si posiziona al di sotto della neuroretina sollevandola.
Nelle fasi iniziali di un DR possono essere presenti dei sintomi premonitori come visione di flash luminosi (fosfeni), di corpi mobili (le cosiddette mosche volanti o miodesopsie), fino ad arrivare a una visione di “tenda scura calata” nel caso in sui il distacco dovesse arrivare a interessare la macula oppure a lambirla. Nel caso in cui sia coinvolta la zona centrale (distacco macula-off) il calo del visus è più marcato e il recupero visivo dopo chirurgia risulta spesso inferiore può essere inferiore rispetto a casi con fovea risparmiata (macula-on).
L’esame del fondo oculare è in genere sufficiente per la diagnosi di distacco di retina, in casi di difficile inquadramento per la presenza di opacità importanti dei mezzi diottrici è possibile che si renda necessario l’ausilio dell’ecografia bulbare
La terapia è preventiva nel caso in cui siano presenti rotture o aree di assottigliamento del tessuto retinico; in tali circostanze, infatti, un trattamento laser può prevenire l’insorgenza di un successivo DR.
La terapia del DR è sempre chirurgica. Le tecniche chirurgiche più utilizzate sono la tecnica “ab externo” (cerchiaggio e/o piombaggio sclerale associata o meno a criotrattamento e retinopessia con gas) in cui un banderella di silicone viene passata e ancorata intorno al bulbo oculare per ridurne il diametro interno e permettere alla neuroretina di riattaccarsi all’EPR, processo facilitato da una parte dall’esecuzione della cosiddetta “puntura evacuativa” che permette il deflusso e la fuoriuscita del liquido accumulatosi sotto la retina, e dall’altra dall’iniezione di gas nella camera vitrea che produce un effetto tamponante dall’interno. La seconda tecnica definita “ab interno” (vitrectomia via pars plana) consiste nella rimozione il più possibile completa del corpo vitreo che sarà poi sostituito con un “mezzo tamponante” di natura liquida (olio di silicone) in grado di assicurare un adeguato tamponamento per un lungo periodo di tempo, ma richiede un ulteriore intervento per la sua rimozione, o gassosa (aria, SF6, C3F8) non gravata dalla necessità di altri interventi ma con una efficacia inferiore in termini di potere tamponante. La scelta tra le due tecniche non è sempre programmabile prima dell’intervento e può rendersi necessaria da parte del chirurgo la conversione di una tecnica in un’altra anche in sede intraoperatoria
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