Il cheratocono è una distrofia della cornea bilaterale, progressiva, non infiammatoria, caratterizzata dal suo graduale sfiancamento (definito come “ectasia”); tale anomalia si manifesta generalmente in giovane età e porta a un progressivo calo del visus.
La sua frequenza è stimata intorno ad 1 caso su 2.000, anche se probabilmente tale valore è maggiore, considerando che in molti pazienti la diagnosi è occasionale; infatti, negli stadi iniziali l’unico segno può essere la presenza di un semplice astigmatismo.
L’origine è in parte sconosciuta, anche se esiste una componente genetica rilevante come dimostrato dall’alta incidenza della patologia all’interno della stessa famiglia.
Dal punto di vista ottico il cheratocono è rappresentato da un assottigliamento progressivo del tessuto corneale che provoca una deformazione asimmetrica della superficie corneale (in genere un astigmatismo miopico irregolare) che riduce progressivamente la capacità visiva (Figura 1).
La sua evoluzione è spesso poco prevedibile in quanto vi sono pazienti in cui la malattia progredisce rapidamente, nel giro di pochi mesi, mentre in altri il peggioramento è molto lento; inoltre, non è raro osservare forme di cheratocono molto lievi (definite “fruste”) che rimangono invariate per tutta la vita senza manifestare mai segni di progressione.
In molti casi questa evoluzione si può in osservare anche nello stesso paziente, che avverte una progressione dell’ectasia (e calo del visus) in un occhio, mentre il controlaterale resta stabile.
La topografia corneale è l’esame d’elezione per la diagnosi e lo studio dell’evoluzione del cheratocono (Figura 2). Si tratta di uno strumento che analizza i dati derivati dalla riflessione di anelli luminosi concentrici (disco di Placido) proiettati sulla cornea e li trasforma in mappe colorate (topografiche) che ne descrivono la forma e la regolarità della superficie anteriore. Attraverso questo esame è possibile evidenziare tutte le alterazioni di riflessione della cornea e riconoscere anomalie, anche molto iniziali della curvatura corneale.
Il secondo esame fondamentale è rappresentato dalla pachimetria corneale (misurazione dello spessore centrale) che si ottiene con una sonda a ultrasuoni o con metodiche ottiche.
Una metodica recente è rappresentata dalla tomografia corneale con lampada rotante di Scheimpflug che consente un’analisi della cornea in tre dimensioni inclusa la superficie posteriore; questa metodica consente una diagnosi più precoce in caso di forme iniziali di cheratocono oltre che una pachimetria ottica in ogni singolo punto.
Le terapie del cheratocono sono diverse e dipendono fondamentalmente dalla severità della patologia; la prima forma di terapia è puramente “ottica”, e consiste nella correzione dell’errore refrattivo indotto dal cheratocono. Nelle sue fasi iniziali, il difetto visivo generato dal cheratocono può essere corretto con occhiali o lenti a contatto morbide convenzionali. Negli stadi più avanzati della patologia, l’astigmatismo elevato ed irregolare indotto dalla deformazione può essere corretto solo parzialmente con occhiali e l’unico presidio ottico è rappresentato dall’applicazione di lenti a contatto rigide o semi-rigide gas-permeabili; tale soluzione è in grado di ottenere un recupero funzionale completo (10/10 o meglio).
Il secondo tipo di terapia rappresenta una forma di “profilassi” (intesa cioè a prevenire l’evoluzione della patologia verso gli stadi più severi) ed è rappresentata dal Cross-Linking Corneale.
L’ultima opzione terapeutica è costituita dall’intervento di trapianto di cornea (o cheratoplastica); tale procedura rappresenta l’unica alternativa per riabilitare la visione nei casi in cui la correzione del difetto con lenti a contatto non sia possibile, a causa dell’eccesiva curvatura della cornea, della presenza di cicatrici centrali o per l’insorgenza di fenomeni d’intolleranza (10-20%).
Il Cross-Linking corneale è una tecnica che utilizza l’applicazione di Riboflavina (Vitamina B2) in soluzione con destrano al 20% (uno zucchero) sulla superficie anteriore della cornea.
L’impregnazione di questa soluzione nel tessuto corneale e la successiva esposizione di raggi UVA (370 nm) ha come effetto finale un incremento della rigidità della cornea; il meccanismo fisico-chimico è rappresentato dall’attivazione di radicali liberi dell’ossigeno che mediante una desaminazione ossidativa del collagene induce la formazione di nuovi ponti molecolari intra-elicoidali e inter-fibrillari.
Il risultato ottenuto con il trattamento di Cross-Linking è di bloccare il cedimento e l’assottigliamento strutturale della cornea ed è indicato nelle patologie corneali caratterizzate dal progressivo sfiancamento del tessuto, come il cheratocono e l’ectasia post-chirurgia refrattiva ablativa (Lasik o PRK).
Sebbene alcuni pazienti sottoposti a questo trattamento possano ottenere una diminuzione della miopia o dell’astigmatismo corneale, tale procedura non ha come obiettivo la riduzione del difetto di vista ma la stabilizzazione della patologia.
Tuttavia, in molti casi l’appiattimento della superficie può migliorare la tolleranza all’uso della lente a contatto, che in tali pazienti rappresenta spesso l’unica possibilità terapeutica per raggiungere un visus adeguato.
Dal punto di vista chirurgico la procedura è relativamente semplice e non dolorosa: il paziente è posizionato solitamente sul lettino chirurgico e si instillano alcune gocce di collirio anestetico; si inserisce un blefarostato (una specie di molletta che evita la chiusura delle palpebre) e si rimuove l’epitelio corneale (lo strato cellulare superficiale che riveste la parte esterna della cornea) con una spatola dedicata, per un diametro di circa 9 mm.
Si applica il gel di riboflavina sulla cornea per 15-20 minuti, al fine di ottenere un’imbibizione completa del tessuto corneale; in seguito, si attiva l’apparecchio che emette i raggi UVA per 6 fasi da 5 minuti ciascuna, per un totale di 30 minuti.
La durata complessiva del trattamento è di circa 45 minuti ed è completamente indolore; al termine l’occhio viene medicato con colliri antibiotici e viene applicata una lente a contatto terapeutica che verrà rimossa dopo circa 4 giorni. Non è necessario praticare un bendaggio.
Esiste anche la possibilità di eseguire un trattamento che prevede la conservazione dell’epitelio (definito “epi-on”) che in genere è effettuato in cornee sottili con uno spessore inferiore ai 400 micron; in aggiunta, sono state recentemente introdotte sul mercato nuove metodiche in grado di rendere ancora più rapida l’esecuzione dell’intera procedura mantenendo inalterata la sicurezza ed efficacia della procedura.
Nei primi giorni dopo il trattamento, il paziente può avvertire sensazione di corpo estraneo e dolore per le prime 48 ore; la lente a contatto è rimossa dopo circa 4-5 giorni.
La visione è lievemente offuscata per i primi giorni e si stabilizza dopo circa un mese, durante il quale il paziente continua a somministrare terapia steroidea topica. Nel giro di qualche settimana si può riutilizzare l’occhiale o la precedente lente a contatto; eventuali variazioni del difetto di vista saranno valutate dopo circa tre mesi.
• Cheratoconi al I e II stadio con trasparenza corneale conservata, degenerazione marginale pellucida, ectasie post-trattamenti di chirurgia refrattiva.
• Lo spessore corneale nel punto più sottile non deve essere inferiore a 400 micron per il trattamento epi-off.
• Malattia in stato di progressione.
La visita pre-operatoria deve essere eseguita previa sospensione dell’applicazione di lenti a contatto per circa 10 giorni. Il paziente è sottoposto a tutti gli esami di screening che accertano la diagnosi della patologia e l’assenza di eventuali controindicazioni al trattamento; tali esami includono: esame obiettivo del segmento anteriore, mappa corneale o tomografia del segmento anteriore, pachimetria ottica o a contatto, conta endoteliale, tonometria, esame del fondo oculare.
La Cheratoplastica Lamellare Anteriore Profonda (o DALK, dall’acronimo inglese per “Deep Anterior Lamellar Keratoplasty”) è una procedura chirurgica che prevede la rimozione dello stroma corneale fino alla membrana più interna (Membrana di Descemet). La DALK rappresenta il trattamento chirurgico di scelta per la maggior parte delle patologie corneali in cui l’endotelio è sano, come ad esempio il cheratocono, cicatrici superficiali e profonde o distrofie dello stroma corneale.
La DALK offre una serie di vantaggi teorici e pratici rispetto ad una procedura di cheratoplastica perforante. Il primo vantaggio è legato alla migliore e prolungata sopravvivenza del lembo trapiantato. Nelle procedure convenzionali a tutto spessore circa il 20% dei trapianti va incontro a scompenso tardivo a causa di reazioni di rigetto immunologico o riduzione cronica delle cellule endoteliali; nella DALK, invece, tale rischio è teoreticamente assente poiché l’endotelio del ricevente è conservato. Nella maggior parte delle procedure lamellari, l’intervento è eseguito in condizioni di bulbo chiuso, riducendo in maniera significativa il rischio di complicanze intraoperatorie maggiori (emorragia sovracoroideale). L’astigmatismo ad un anno dall’intervento è inferiore a quello registrato allo stesso intervallo di tempo dopo PK. I tempi di cicatrizzazione e guarigione sono ridotti, così come la necessità di prolungare per tempi lunghi la terapia topica cortisonica.
I risultati visivi associati a procedure di cheratoplastiche lamellari sono simili a quelli ottenuti dopo PK solo in caso di rimozione completa dello stroma corneale ed esposizione della membrana di Descemet; in caso di dissezioni stromali profonde, ma non complete, l’acuità visiva può essere ridotta (soprattutto in termini di sensibilità al contrasto) a causa di opacità dell’interfaccia creata fra cornea donatrice o ricevente; in tali situazioni i tempi di recupero possono allungarsi sensibilmente, con possibili miglioramenti della qualità della visione ottenibili anche a distanza di 2 o 3 anni dall’intervento.
L’unico limite di tali procedure è legato alla complessità della tecnica, che richiede lunghi tempi d’apprendimento e in alcuni casi anche lunghi tempi intraoperatori; per tale motivo molti chirurghi preferiscono tuttora eseguire una cheratoplastica perforante.
In letteratura sono state descritte numerose tecniche alternative per eseguire una DALK. Uno dei primi metodi descritti è quello di rimuovere lo stroma anteriore strato-per-strato fino a raggiungere gli spazi profondi o la membrana di Descemet. Sebbene esistano diversi approcci, la tecnica base consiste nei seguenti passaggi:
Occhio ricevente. Un’incisione circolare a parziale spessore (circa 2/3) è ottenuta mediante l’uso di un trapano a suzione; gli strati corneali più superficiali sono rimossi mediante l’uso di una lama circolare mantenendo un piano parallelo alla superficie endoteliale. Gli strati corneali sono separati mediante l’iniezione di fluido o aria usando un ago o cannula da 25/27 gauge.
La complicanza più frequente nella DALK è la perforazione della membrana di Descemet e la penetrazione in camera anteriore. Rotture o perforazioni si possono presentare nel 10-30% dei casi e la loro gestione dipende dalla grandezza e dalla fase intraoperatoria in cui si realizzano; tuttavia nella maggior parte dei casi la procedura è portata al termine senza la necessità di convertire in una PK. Evenienza più rara è l’ischemia iridea con presenza di pupilla fissa dilatata, nota come Sindrome di Urrets-Zavalia.
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