Il cheratocono è una distrofia della cornea caratterizzata dal suo progressivo assottigliamento e sfiancamento (“ectasia”), con riduzione del visus a causa di un astigmatismo irregolare prevalentemente miopico. Insorge generalmente intorno alla pubertà ed è bilaterale nel 96% dei casi. La sua progressione si arresta solitamente intorno ai 30-40 anni di età.
La sua frequenza è stimata intorno ad 1 caso su 2.000 ed è variabile a seconda dei criteri diagnostici e dell’area geografica.
L’origine è in parte sconosciuta, anche se esiste una componente genetica rilevante come dimostrato dall’alta incidenza della patologia all’interno della stessa famiglia (6-13% ereditarietà autosomica dominante a penetranza incompleta). Certamente essa può essere annoverata tra le patologie multifattoriali, ed il meccanismo patogenetico alla base si ritiene sia il risultato di una predisposizione genetica (cornea meno resistente, aumento di enzimi proteolitici etc.) e di fattori ambientali e comportamentali che possono favorirne l’insorgenza.
Nella storia naturale della patologia si possono distinguere evoluzioni molto differenti. Vi sono forme a rapida progressione, che raggiungono livelli di ectasia estremamente importanti (cornea “conica” da cui il nome della stessa patologia) in poco tempo e che possono esitare anche nell’idrope corneale; forme lentamente progressive e forme che possono non progredire mai e manifestarsi solo come lievi astigmatismi, dette forme “fruste”. In molti casi questa evoluzione può manifestarsi in maniera differente anche nello stesso paziente, che avverte una progressione dell’ectasia (e calo del visus) in un occhio mentre il controlaterale resta stabile.
Per impostare un corretto percorso diagnostico-terapeutico è necessario prendere in considerazione i rilievi anamnestici e obiettivi e soprattutto è determinante la semeiotica strumentale. L’esame d’elezione per la diagnosi e lo studio dell’evoluzione del cheratocono è la topografia corneale (Figura 2), che proiettando degli anelli concentrici sulla cornea (disco di Placido), ne analizza la riflessione fornendo dei dati che trasforma in mappe colorate (topografiche) che descrivono la forma e la regolarità della superficie anteriore. Grazie a questo esame si può valutare dettagliatamente forma, dimensione e sede del cheratocono.
Dopo aver valutato la curvatura corneale, bisogna valutarne lo spessore mediante la pachimetria corneale (link) che consente di valutare la progressione dell’ectasia.
Infine, grazie alle recenti tecnologie della Scheimpflug camera o della luce coerente, si può andare ad effettuare ad una scansione tridimensionale della cornea fornendo informazioni sulla curvatura della superficie posteriore della cornea oltre che una pachimetria ottica in ogni singolo punto, permettendo diagnosi sempre più precoci.
La classificazione del cheratocono si basa sul grado di miopia ed astigmatismo, sui valori di curvatura corneali, sulla pachimetria e sull’eventuale presenza di rilievi obiettivi come cicatrici (esiti di idrope corneale) o strie di Vogt (pieghe dell’endotelio date dall’ectasia corneale).
Nei primi stadi la terapia è puramente “ottica”, cioè si utilizzano occhiali o lenti a contatto morbide per correggere l’errore refrattivo indotto dal cheratocono.
Quando l’astigmatismo irregolare è troppo elevato l’unico presidio in grado di correggerlo sono le lenti a contatto rigide o semi-rigide gas-permeabili che permettono un recupero funzionale completo.
Per cercare di rallentare o arrestare la progressione del cheratocono si può utilizzare la tecnica del cross-linking corneale (link) che mira a rinforzare strutturalmente la cornea ed evitare che questa si sfianchi ulteriormente.
Infine, qualora la correzione del difetto con lenti a contatto non sia possibile, a causa dell’eccessiva curvatura della cornea, della presenza di cicatrici centrali o per l’insorgenza di fenomeni d’intolleranza (10-20%), l’ultima opzione terapeutica è costituita dall’intervento di trapianto di cornea (o cheratoplastica).
Il Cross-Linking corneale (CXL) è una tecnica che utilizza l’applicazione di Riboflavina (Vitamina B2) in soluzione di destrano al 20% (uno zucchero) più raggi UVA (370nm) sulla superficie anteriore della cornea al fine di attivare i radicali liberi dell’ossigeno che inducono la formazione di nuovi ponti molecolari intra-elicoidali e inter-fibrillari mediante una deaminazione ossidativa del collagene, bloccando il cedimento e l’assottigliamento strutturale della cornea ed incrementandone la rigidità rispettandone la trasparenza.
Esso è indicato nelle patologie corneali caratterizzate dal progressivo sfiancamento del tessuto, come il cheratocono e l’ectasia post-chirurgia refrattiva ablativa (Lasik o PRK).
Nel cheratocono, nello specifico, il cross-linking ha una funzione di prevenzione andando ad agire proprio sui meccanismi alla base della patologia. Esso infatti aumenta la stabilità biomeccanica della cornea, aumenta il diametro delle fibrille collagene e ne riduce la degradazione ad opera delle collagenasi aumentando la resistenza corneale.
Sebbene alcuni pazienti sottoposti a questo trattamento possano ottenere una diminuzione della miopia o dell’astigmatismo corneale, tale procedura non ha come obiettivo la riduzione del difetto di vista ma la stabilizzazione della patologia.
Tuttavia, in molti casi l’appiattimento della superficie può migliorare la tolleranza all’uso della lente a contatto, che in tali pazienti rappresenta spesso l’unica possibilità terapeutica per raggiungere un visus adeguato.
Sono candidati al cross-linking i pazienti affetti da cheratocono stadio I e II in progressione, con spessore corneale maggiore di 400 µm (per la tecnica “epi-off”).
Il paziente deve sospendere l’applicazione di lenti a contatto per circa 10 giorni prima della visita preoperatoria durante la quale verranno effettuati tutti gli esami di screening che accertino la diagnosi della patologia e l’assenza di eventuali controindicazioni al trattamento (esame obiettivo del segmento anteriore, mappa corneale o tomografia del segmento anteriore, pachimetria ottica o a contatto, conta endoteliale, tonometria, esame del fondo oculare).
La procedura consiste in un’anestesia topica (collirio anestetico), cui segue l’applicazione di un blefarostato (una specie di molletta) per evitare la chiusura delle palpebre, si rimuove quindi l’epitelio corneale (“epi-off”) con una spatola dedicata, per un diametro di circa 9 mm.
Si instilla il gel di riboflavina sulla cornea per 15-20 minuti, al fine di ottenere un’imbibizione completa del tessuto corneale; in seguito, si attiva l’apparecchio che emette i raggi UVA per 6 fasi da 5 minuti ciascuna, per un totale di 30 minuti.
La durata complessiva del trattamento è di circa 45 minuti ed è completamente indolore; al termine l’occhio viene medicato con colliri antibiotici e viene applicata una lente a contatto terapeutica che verrà rimossa dopo circa 4 giorni. Non è necessario praticare un bendaggio.
Nelle cornee sottili con uno spessore inferiore ai 400 µm si può eseguire un trattamento che prevede la conservazione dell’epitelio (definito “epi-on”). Il limite di questa tecnica, però, consiste nel fatto che le cellule epiteliali possano ostacolare la penetrazione della riboflavina nello stroma corneale, riducendone l’efficacia.
Recentemente si stanno provando diversi approcci per ridurre le tempistiche della procedura aumentando l’energia d’irradiazione (CXL-accelerato) o alternando fasi di accensione e spegnimento dell’irraggiamento per permettere all’ossigeno di ri-diffondere nello stroma, evitando che venga consumato (CXL-accelerato-pulsato).
Nei primi giorni dopo il trattamento, il paziente può avvertire sensazione di corpo estraneo e a volte dolore per le prime 48 ore; la lente a contatto è rimossa dopo circa 4-5 giorni.
La visione è lievemente offuscata per i primi giorni e si stabilizza dopo circa un mese durante il quale il paziente continua ad assumere terapia steroidea topica. Nel giro di qualche settimana si può riutilizzare l’occhiale o la precedente lente a contatto; eventuali variazioni del difetto di vista saranno valutate dopo circa tre mesi.
La Tomografia Corneale è una metodica che permette di valutare la cornea nella sua interezza (superficie anteriore, posteriore e spessore).
Essa può avvalersi di diversi strumenti basati su differenti principi fisici:
La capacità dei tomografi di ultima generazione di fornire un’analisi completa del segmento anteriore, quali la camera anteriore, l’iride, l’angolo e la superficie anteriore del cristallino (Figura 5) li rende indispensabili nella programmazione e nel follow-up di pazienti candidati ad interventi di cheratoplastica lamellare e di chirurgia refrattiva con impianto di IOL fachiche, oltre che nella valutazione dell’angolo camerulare nei pazienti affetti da glaucoma.
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